Rolling Stone intervista Donatella Nicolini
«Fotografo le donne incinte come se fossero dee»
Lo dice Donatella Nicolini, miglior ‘Maternity Photographer’ per The Societies of Photographers. Qui racconta le discriminazioni ricevute durante la sua carriera, la fondazione di uno studio di sole donne, i suoi progetti
In una società prettamente maschilista, dove ancora oggi le donne continuano a lottare per il rispetto e la tutela della maternità e ad essere discriminate nel mondo del lavoro e della società civile in senso più ampio, gli scatti della fotografa Donatella Nicolini restituiscono forza e posizionano l’empowerment femminile sotto gli occhi di tutti. Quello catturato dall’obiettivo di Donatella, vincitrice quest’anno del premio come miglior Maternity Photographer assegnato dalla The Societies of Photographers, rappresenta l’orgoglio di diventare madre, un processo naturale, unico, ma che paradossalmente in Italia continua a essere messo in ombra, obbligando a doverlo difendere. Nel nostro paese la gravidanza continua a essere vista nel mondo del lavoro come motivo di discriminazione. A partire dalle domande insidiose durante un colloquio, per non parlare delle condizioni scomode, vissute soprattutto dalle neomamme, per le quali non sono previste agevolazioni da parte delle aziende. Si stima infatti che in Italia il 73% delle dimissioni volontarie riguardino proprio le lavoratrici, dato allarmante che si unisce a quelli rilevati in tema di gender pay gap e disoccupazione femminile: solo nel 2020 il 98% di chi ha perso il lavoro è donna. Pensiamo per esempio al caso della giocatrice di pallavolo Laura Lugli, alla quale non era stato pagato neanche l’ultimo stipendio dalla società sportiva in cui giocava dopo aver comunicato la sua gravidanza. Ed è impossibile non citare il recente episodio di sessismo nei confronti della comica Aurora Leone.
Anche la fotografia risulta essere uno dei settori lavorativi più sessisti ed è proprio a partire da questo che Donatella Nicolini si racconta: «Prima di dedicarmi esclusivamente ai ritratti di maternità, all’inizio del mio lavoro come fotografa, ho sperimentato diverse nicchie. Dagli eventi aziendali, ai matrimoni, allo still life, le ho provate un po’ tutte. In questi settori ho vissuto diversi episodi di discriminazione per il solo fatto di essere donna e giovane. Aggiungi che sono anche bionda e ho imparato a mie spese che quando si tratta di essere presi sul serio questa è perfino una discriminante in più. Agli eventi aziendali ero sempre approcciata come la hostess, nonostante avessi due fotocamere appese al collo. Ai matrimoni andavo con il mio assistente uomo e ovviamente tutti davano per scontato che il primo fotografo fosse lui e non io, solo perché uomo. Gli invitati pensavano fosse appropriato spesso e volentieri fare battute o avances durante il ricevimento, mentre stavo visibilmente lavorando… ovviamente solo a me e non al mio assistente. Per questo ho smesso presto di lavorare in questi contesti e ho costruito il mio studio». Uno studio fotografico che lei definisce come il «suo piccolo regno»; un porto sicuro dove crea ad hoc ogni singolo set, lontano da occhi indiscreti e da ogni eventuale forma di discriminazione. «Un posto tutto mio dove faccio io le regole, scelgo chi entra e non permetto mancanze di rispetto a me o a nessun altro membro del mio team di sole donne».
«Il nostro lavoro, sia mio che del mio team, sta nel far sentire la cliente o modella sempre a suo agio e fare in modo che anche lei inizi a guardarsi con i nostri occhi. Mostrarle la bellezza delle sue nuove curve, che non sono da nascondere ma da evidenziare. Guido le persone che fotografo nelle pose, mostrandole io stessa per prima, senza filtri o imbarazzi perché siamo lì, in quel momento, tutte per un obiettivo comune. Celebrare un momento importante, unico e potente tirandone fuori il massimo della bellezza e della magia». Viene da chiederle cosa si prova nel creare un momento così delicato e cosa l’ha spinta a specializzarsi in questa nicchia. «La prima volta che ho fotografato una donna in gravidanza è scattato un magnetismo che non saprei nemmeno spiegare. Ho sentito una forte ispirazione, che è cresciuta sempre di più con ogni persona ritratta e ho deciso di restare in questo mondo e farlo mio. Guardo con estrema ammirazione le donne che scelgono di diventare mamme, la vedo come una scelta di grande coraggio. Quindi guardo questa forza della natura, guardo da fuori e faccio del mio meglio per ritrarre la bellezza e la dignità di queste donne per come le vedo io: delle dee al massimo della loro potenza».
Le dee di cui parla Donatella Nicolini non sempre sono modelle professioniste. Sono molte le donne in gravidanza che soprattutto tramite i social richiedono uno shooting. In ogni caso, come spiega lei stessa, il processo creativo è sempre lo stesso, mettere a proprio agio il soggetto anche grazie a una serie di incontri preliminari per conoscersi e creare un ambiente intimo e confortevole. «Mi piace capire chi andrò a fotografare, che passioni ha, quali paure, quali desideri, le sue origini, la sua storia. Da qui inizio a immaginare e progettare uno shooting personalizzato su misura per questa persona, unendo le informazioni alla mia visione personale. Non è semplice trovare modelle professioniste in gravidanza, purtroppo non esiste un’agenzia in Italia che abbia un database dedicato a questo tipo di richiesta per cui di solito pubblico l’annuncio su Instagram e chiedo inoltre alle modelle con cui ho già lavorato se hanno delle colleghe che in quel momento si trovano in gravidanza».
E sono proprio le debolezze e le paure citate che rendono le donne più forti sia nella vita che in questi scatti. In ogni ritratto, c’è un evidente senso di fierezza che scaturisce anche grazie al lavoro del team oltre che alla consapevolezza dei soggetti nel volersi esporre e condividere la propria storia. «Posso assicurare che nessuno è perfetto, neanche una modella professionista. Ognuna di loro combatte con le proprie imperfezioni, cicatrici interne ed esterne. Ascoltiamo storie di vita incredibili, una donna è capace di celare grandi sofferenze e immensi dolori. Anche il fatto di accettare la propria immagine che cambia durante la gravidanza è un argomento molto comune. Insieme troviamo il modo di esaltare i punti di forza tramite lo studio di pose, luci, styling così da concentrarsi su tutto ciò che c’è di positivo. Non è semplice e non è scontato voler mostrare al mondo qualcosa di noi che non ci piace e credo anche che non sia dovuto o necessario. Possiamo scegliere di mostrare la versione migliore di noi stesse, pur al contempo lavorando per accettarci, volendoci bene per ogni parte di noi, difetti inclusi. Ciò non vuol dire volerli mostrare a ogni costo, perché credo che una donna sia libera di scegliere di non essere definita dalle sue cicatrici e di scegliere come vuole essere ricordata».
Ma considerando gli ultimi episodi accaduti proprio in Italia e citati all’inizio, riportando purtroppo un altro atroce esempio molto recente, la scomparsa della giovane Saman Abbas, ci si chiede (con ovvie risposte) se l’essere una donna consapevole del proprio status, fiera ed egualitaria, libera e bella, possa spaventare in qualche modo la nostra società palesemente maschilista e per certi versi ancora patriarcale. «Credo che l’uomo e la società di oggi siano intimoriti da questa presa di potere crescente della figura femminile. L’ho sperimentato anche in prima persona, con le mie relazioni personali. Una donna forte, che sta costruendo una carriera, che è indipendente e sicura di sé e di ciò che vuole fa paura all’uomo medio. Non sa come gestirla. Sono stata “accusata” da chi mi stava accanto di essere “troppo indipendente” e “troppo intelligente” come se questi fossero dei difetti. Nonostante sia ancora molto diffusa la cultura maschilista, i tempi stanno cambiando e finalmente la gravidanza inizia a essere vista come un qualcosa di bello e non qualcosa da nascondere. Come una forza e non una fragilità. C’è ancora molta strada da fare, la maggior parte delle persone ancora non la pensa così, ma abbiamo quantomeno iniziato il percorso».
Questo cammino sembra essere ancora abbastanza lungo. È necessario eliminare ulteriori tabù anacronistici, luoghi comuni bigotti e gesti primitivi, partendo dal mondo del lavoro passando per ogni singola situazione quotidiana, anche la più piccola e familiare, nella quale l’uomo rappresenta ancora la parte libera e dominante mentre la donna è sempre vista come il sesso dominato e bisognoso. Citando la scrittrice femminista Sibilla Aleramo: «rispetta soprattutto la tua dignità, madre: sii forte, resisti lontana, nella vita, lavorando, lottando». In conclusione, immaginando una situazione ipotetica in cui i ruoli vengono ribaltati o meglio messi “fisicamente” sullo stesso asse, ultimamente si è parlato delle reazioni ad una copertina giornalistica con la grafica di un uomo incinto. Sullo stesso tema, qualche anno fa, ha riscosso molta attenzione mediatica il caso di Thomas Beatie, un uomo transgender che ha avuto tre gravidanze tramite inseminazione artificiale. Così chiediamo a Donatella Nicolini quale sia il suo pensiero riguardo un mondo ipotetico dove si possa parlare di gravidanza maschile e dove anche gli uomini si lasciano andare a gioie e dolori della gestazione fisica. «Penso che effettivamente un giorno non troppo lontano questo potrebbe diventare realtà e che forse gli uomini potrebbero iniziare a sperimentare e capire cosa significhi, anche se solo in piccolissima parte, essere una donna, una madre, portare dentro di sé una vita e metterla al mondo. Potrebbero forse comprendere una piccola percentuale dei nostri dolori, sacrifici, fardelli psicologici che dobbiamo subire da quando nasciamo per tutta la vita, e forse, dico forse, iniziare ad avere più rispetto e comprensione per le donne. Forse, non sarebbe così male».
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